Inquiry-based teaching, project-based teaching, flipped classroom ecc. Numerose sono le tecniche di insegnamento di cui un insegnante può oggi servirsi per costruire la sua "lezione"; un vasto campionario in grado di fornire al docente, che ne avesse tempo e voglia di sperimentazione, strumenti per la costruzione di situazioni sempre nuove di apprendimento. Tra queste tecniche o strategie didattiche quella che, negli ultimi due anni (almeno in Italia), ha suscitato sempre più interesse è sicuramente la cosiddetta classe capovolta (flipped classroom): una strategia d'insegnamento che, volendo semplificare, consiste nel "capovolgere" i tempi dell'apprendimento: a casa il giorno prima lo studente studia la lezione su materiali predisposti dall'insegnante (solitamente videolezioni, ma non solo); il giorno dopo in classe si fanno i compiti (di solito attraverso attività di natura laboratoriale). Questa diversa organizzazione dei tempi di apprendimento consentirebbe all'insegnante, da un lato, di avere in classe studenti già "preparati" sulla lezione, dall'altro permetterebbe allo studente di svolgere in classe (sotto la guida del docente e dei propri compagni) compiti che diversamente si troverebbe a svolgere da solo. Alla luce di ciò, la classe capovolta appare (almeno nelle intenzioni di chi ha iniziato a praticarla) come un "contenitore" in grado di racchiudere in sé tutta una serie di tecniche didattiche. Quali sono le origini di questo approccio apparentemente dalla portata rivoluzionaria? Nel suo libro Fare didattica con gli EAS (Editrice La Scuola, 2013), Pier Cesare Rivoltella ricostruisce brevemente la storia della flipped lesson, individuando in Eric Mazur, professore di fisica ad Harvard, uno dei suoi primi sperimentatori, fino ad arrivare in anni più recenti alla diffusione delle comunità di flipped teachers negli Stati Uniti e in Europa (inclusa l'Italia, con la costituzione dell'associazione Flipnet). Nel filo ideale che tiene assieme lo sviluppo di questo modello d'insegnamento, l'elemento preponderante che emerge e diventa oggetto d'interesse soprattutto dei mass media è l'associazione della classe capovolta con l'uso dei nuovi strumenti messi a disposizione dalla rivoluzione digitale: classi virtuali, edu-apps, ma soprattutto videolezioni (cfr. la recente inchiesta de La Repubblica). Questo binomio, tuttavia, nel mentre contribuisce a decretarne il successo nell'era dei "presunti" nativi digitali, dall'altro rischia però paradossalmente di ridimensionarne la portata innovativa: difatti, l'unica vera novità rispetto all'approccio costruttivista delle cosiddette pedagogie attive consisterebbe proprio nell'aggiunta delle nuove tecnologie (e di per sé non sarebbe cosa di poco conto, visto quanto lamenta l'ultimo Rapporto OCSE dell'ottobre 2015 in merito alla mancanza di una pedagogia che integri al meglio le TIC).
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BENVENUTI!Mi chiamo Eros Grossi. Dal 2004 sono un insegnante di Lettere presso i licei di Roma e provincia. Questo è il mio blog: nato per condividere fuori dall'aula il lavoro che svolgo tutti i giorni in classe. Archivi
Ottobre 2022
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