È almeno da un secolo che si parla di nuove tecnologie nella scuola, al punto che qualcuno si è sentito in dovere di parlare di “cent’anni di fallimenti”, al riguardo di approcci pedagogici focalizzati sull’esaltazione delle virtù della macchina piuttosto che sul modo in cui la tecnologia può facilitare la costruzione di situazioni di apprendimento all’interno della classe (cfr. l'analisi del problema fatta da Richard E. Mayer nel suo testo Multimedia Learning). Se, infatti, nel 1922 il famoso Thomas Edison proclamava che il cinematografo avrebbe sostituito in gran parte i libri di testo a scuola, nel 1945 William Levison, direttore di una delle prime "scuole via radio" d'America (la Ohio School of the Air), profetizzava che la radio sarebbe divenuta un oggetto comune in classe quasi quanto la lavagna. Inutile dire che le loro profezie si sono rivelate fallimentari. Per restare in Italia, Aldo Visalberghi, nel capitolo Le nuove tecnologie nella scuola del suo Insegnare ed apprendere – Un approccio evolutivo (La Nuova Italia 1988), metteva in guardia da un falso senso di onnipotenza che lo strumento tecnologico poteva innescare nello studente, e nel docente (aggiungiamo noi), entrambe affascinati “dal gioco sottile che lega le loro dita alle mutevoli immagini, magari colorate, dello schermo”. Queste preoccupazioni nascevano sicuramente da una tecnologia che lasciava intuire ancora solo in parte i suoi notevoli sviluppi futuri (quando Visalberghi scriveva quelle parole, ad es., era stato da poco commercializzato il pc Macintosh 128k, mentre del 1985 era il sistema Windows 1.0); nonostante ciò, il famoso pedagogista italiano aveva ben chiara già al tempo la linea che si sarebbe dovuta seguire nell’introdurre il computer nel curricolo; esso avrebbe dovuto sicuramente contribuire allo sviluppo di “libere attività ludico-esplorative” (come suggeriva del resto lo stesso Steve Jobs nel 1984 durante la campagna promozionale del suo MacIntosh, presentato agli stessi manager come uno “strumento per giocare”). Ora, rispetto a queste premesse, appare inutile sottolineare la rivoluzione rappresentata dal digitale nelle nostre vite, ma soprattutto nel campo dell’educational technology; si potrebbe dire anzi che il mondo digitale ha sviluppato a tal punto l’approccio ludico-esplorativo al sapere che una parte dell’intellighenzia scolastica (che gode di grande autorità sui nostri quotidiani e nei nostri salotti televisivi) vede precisamente in esso il cavallo di Troia con cui si tenta di abbattere un modello di scuola seria e difficile (cfr. la laudatio temporis acti di Paola Mastrocola sul Sole 24ore). Rispetto a queste sterili polemiche, le quali ripropongono una dicotomia di ascendenza quasi biblica (quale è la contrapposizione tra la fatica del lavoro e la superficialità del gioco), una scuola che volesse assolvere al suo compito primario, non potrebbe non tener conto che lo studente del XXI secolo, in questa sorta di ecosistema digitale, ci vive indipendentemente dalla scuola: dal pc al cellulare, dai più moderni elettrodomestici all’ultimo modello di smartwatch, infatti, non esiste contesto in cui la relazione tra l’uomo e l’ambiente non sia mediata da uno strumento digitale. Dunque, come potrebbe la scuola assolverebbe al suo compito, quale è quello di educare alla realtà, prescindendo da questo dato di fatto? Lo potrebbe fare sicuramente, correndo però il rischio di lasciare i nostri giovani in balia degli stimoli smodati di un mercato che non sempre ama cittadini informati dei pericoli e delle virtù del mondo digitale.
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BENVENUTI!Mi chiamo Eros Grossi. Dal 2004 sono un insegnante di Lettere presso i licei di Roma e provincia. Questo è il mio blog: nato per condividere fuori dall'aula il lavoro che svolgo tutti i giorni in classe. Archivi
Ottobre 2022
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