(a cura di) Simone C., Laura B., Alessia A. della classe 1A del Liceo Scientifico "Vito Volterra" di Ciampino In questo post pubblicato sul blog del prof. Eros Grossi, vogliamo parlare di un'attività che abbiamo svolto per Educazione Civica sui temi dell'Agenda 2030. L'attività, dal titolo Intervista alla Ocean Agency, consisteva nella creazione di un podcast rivolto ad ascoltatori immaginari sui problemi relativi alle barriere coralline e al loro sbiancamento. Secondo la consegna ricevuta dal professore, il podcast avrebbe dovuto avere una durata massima di 3 minuti, in cui un partecipante del gruppo interpretava un membro dell’Ocean Agency e un altro lo intervistava. L’Ocean Agency è infatti un’agenzia che si occupa dei coralli e degli effetti nocivi avuti su questo ecosistema a causa dell'inquinamento. Documenta questo fenomeno attraverso un set di telecamere subacquee a 360°; inoltre lavora con giornali di rilievo come TIMES e NEW YORK TIMES. Abbiamo lavorato al podcast circa 7.30 ore, non continuative. Siamo tre nel gruppo, quindi ognuno di noi ha potuto ricoprire uno dei ruoli fondamentali: Simone è stato l’editor, Laura l’intervistatrice e Alessia la ragazza intervistata, membro dell’Ocean Agency. Nel primo giorno di lavoro abbiamo fatto una ricerca individualmente e poi abbiamo unito le informazioni ottenute, creando così una scaletta. Quindi abbiamo fatto un copione (script) che poi ci sarebbe servito per creare successivamente il podcast. Nel secondo giorno invece abbiamo sistemato il copione e abbiamo iniziato le fasi di registrazione. Ci sono volute 2 ore e 15 prove per ottenere la base del podcast. Abbiamo deciso di rendere la ripetizione più realistica possibile, quindi, poiché l’Ocean Agency è inglese, abbiamo pensato che Alessia dovesse avere un accento britannico; invece Laura doveva coinvolgere il pubblico, parlando con enfasi e facendo domande retoriche, come una vera conduttrice radiofonica. Successivamente in un’altra ora sono state scelte le musiche di sottofondo che sarebbero servite a rendere più realistico il podcast. In conclusione S. ha montato tutto il podcast completo sull’applicazione indicata dall'insegnante e il risultato è quello messo a disposizione dal professore.
A causa del virus siamo stati costretti a lavorare a distanza a questo progetto scoprendo nuovi strumenti e nuove tecnologie; inoltre non potendo incontrarci dal vivo abbiamo scoperto un nuovo modo di lavorare, usando strumenti non abituali, come applicazioni per incontrarci virtualmente e per creare il podcast. L'editor in aggiunta ha avuto modo di conoscere nuovi strumenti di editing, come per esempio l’apposita applicazione per montare l’intervista. Lavorare a distanza è stato sia un vantaggio che uno svantaggio: vantaggio perché, utilizzando mezzi digitali si eliminano i tempi morti di andata e ritorno dal punto di incontro. Svantaggio perché non abbiamo avuto un confronto reale e non ci siamo conosciuti meglio anche perché siamo al primo anno e non abbiamo mai fatto dei lavori insieme, quindi è stato più complicato rispetto a farlo con persone con cui avevamo già lavorato.
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E' uscito da poco il nuovo numero della rivista Didattica della Storia , rivista online del Dipartimento di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. All'interno di questo numero c'è anche un mio contributo, dal titolo Insegnare storia con il curriculum Reading like a historian, in cui racconto la sperimentazione che vado conducendo dall'anno scorso dell'insegnamento della storia attraverso il curriculum Reading like a historian, elaborato e promosso dallo Stanford History Education Group. In un precedente post di questo blog, avevo già accennato a Sam Wineburg, inventore di questo curriculum, e al suo modo diverso di concepire l'insegnamento della storia; così come, in un post più recente, avevo già descritto un'attività d'introduzione al pensiero storico, tratta proprio dal curriculum Reading like a historian. In questo articolo ho inserito il racconto di questa mia sperimentazione all'interno della cornice più generale dell'insegnamento della storia nella scuola secondaria superiore italiana, con rimandi teorici alla corrente pedagogica dell'attivismo pedagogico di John Dewey e dei suoi rappresentanti italiani (sopra tutti, Guido Calogero ed Aldo Visalberghi).
Nell'augurare Buone Feste ai davvero pochi ma affezionati lettori di questo blog, voglio fare loro dono di una copia di un'attività di gamification legata ad un'indagine storica sulla figura di Babbo Natale. Io l'ho assegnata alle mie classi prime come unico "compito per le vacanze natalizie". Si tratta di qualcosa che mi è venuto in mente dopo aver visto un'attività realizzata da una docente statunitense sulle piramidi egizie. Fondamentalmente, ho creato con Google Slides una presentazione interattiva con materiali trovati online su questo tema. Spero, cari lettori, che sia di vostro gradimento. Per avere una copia da utilizzare con le proprie classi, basta cliccare su questo link docs.google.com/presentation/d/1O0i1ipSy2MtTfT6G-BN0CDH2TapjzRYLGiIFoLDTLRc/copy
Ninetto Davoli – Iiiiih, che so’ quelle? In questi giorni di isolamento e contatti sociali a distanza, in cui l’intellettuale medio italiano appare angosciato dagli effetti dirompenti che tutta questa didattica digitale a distanza avrà sulla scuola italiana, può avere forse un ruolo liberatorio alzare lo sguardo dal pc, dal cellulare o dal tablet ed osservare il cielo dal balcone di casa o dall’unica finestra che porta luce nella propria stanza. Alzare lo sguardo, e casomai osservare in cielo quelle particelle di vapore acqueo condensato in grado dall’antichità di “nutrire i maestri di pensiero”, come diceva Socrate nella commedia Le Nuvole di Aristofane. A lungo considerate come emblema della temporalità della vita umana e del costante mutare delle cose, le nuvole possono essere anche oggetto di studio e analisi. Ho avuto modo di scoprirlo da quando ho iniziato ad insegnare il programma della disciplina Geography IGCSE, come sviluppato dall'Università di Cambridge International Examinations. La cosa più sorprendente di questa mia scoperta è stata scoprire che l'unico modo per studiare le nuvole è osservarle in cielo. A capirlo, infatti, per la prima volta fu l'inglese Luke Howard, vissuto tra il XVIII e il XIX secolo, padre della nefologia, la branca della meteorologia che si occupa appunto delle nuvole. Come ebbe a dichiarare, Howard iniziò a coltivare questa passione durante le noiose lezioni che al tempo gli venivano inflitte a scuola, le quali ebbero l'unico merito di invogliarlo ad osservare il cielo fuori dalla finestra della classe, attratto in particolar modo dalla strana e mutevole forma delle nuvole. Per farla breve, in poco tempo Howard intuì che, se da un lato era impossibile misurare le nuvole in cielo, dall'altro non appariva impossibile individuarne le forme basiche attraverso cui transitavano. E grazie alla sua passione per la lingua e cultura latina, egli ne classificò le forme secondo una terminologia ricavata dal latino che è ancora oggi in uso.
Ho già parlato in un post di qualche tempo fa di Edutopia: a mio avviso, uno dei migliori siti internazionali dedicati al mondo dell'istruzione. Il suo pregio maggiore è quello di saper comunicare in modo semplice non solo le evidenze raccolte dalle indagini sperimentali condotte in ambito pedagogico, ma anche quello di saper diffondere le "buone pratiche" di insegnanti impegnati in quella che da noi un tempo si chiamava ricerca-azione. L'altro giorno Edutopia ha pubblicato un video dedicato alla comprensione di quel nuovo ambiente che, causa gli effetti devastanti della pandemia COVID, è diventato quasi imprescindibile per la nostra azione didattica: la classe virtuale. In un articolo di qualche anno fa pubblicato per la rivista Bricks, avevo già parlato dell'esperienza che andavo conducendo in classe con uno dei primi social didattici; come dicevo, la classe virtuale appariva come "un valido ausilio per una didattica orientata questa volta non a superare lo spazio fisico e temporale dell’aula, ma semplicemente ad integrarlo con la rete". Ma cosa succede se la didattica non può esercitarsi più nello spazio fisico dell'aula e deve affidarsi esclusivamente all'ambiente online? Cosa si perde, ad esempio? Come mostra questo recente video diffuso da Edutopia, a scomparire sono tutti quei feedback essenziali che costituiscono un po' l'anima della comunicazione in classe. Parliamo di quei preziosi segnali che si esprimono nel linguaggio non verbale: lo sbadiglio, l'alzata di sopracciglio oppure l'illuminazione improvvisa nel volto dello studente preso dalla tua lezione. E' evidente che questo nella distanza sia quasi impossibile da sostituire. Perciò bisogna pensare ad un sistema diverso, pur nella consapevolezza che si tratta di un surrogato dettato dalle necessità dei tempi. Il suggerimento che Edutopia ci dà è quello di lavorare affinché si possano ricevere feedback costanti e mediati attraverso strumenti semplici quali, ad esempio, un Google Moduli. Potremmo pertanto chiedere ai nostri studenti di rispondere, ogni tanto, a domande aperte (o su scala Likert) del tipo:
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BENVENUTI!Mi chiamo Eros Grossi. Dal 2004 sono un insegnante di Lettere presso i licei di Roma e provincia. Questo è il mio blog: nato per condividere fuori dall'aula il lavoro che svolgo tutti i giorni in classe. Archivi
Ottobre 2022
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