Edutopia, la fondazione statunitense di George Lucas (sì, proprio lui, il regista di Guerre Stellari) dedicata al mondo dell'istruzione, ha recentemente pubblicato un video interessante dal titolo 60-Second Strategy: Interview assessments. Nel breve video Theresa Williams, insegnante della University of Wyoming Lab School, illustra in modo chiaro quella che appare come una strategia di valutazione nata per compensare "quello che i test non dicono". La strategia della Interview Assessment nasce da una forte consapevolezza: esistono studenti che sanno molto di più di quello che riescono a dimostrare in un compito in classe svolto da soli e in totale autonomia. E in questa presa di coscienza riecheggiano inevitabilmente le parole con cui il famoso studioso dei processi cognitivi, il russo Lev Vygotskij, illustrava il concetto di zona di sviluppo prossimale:
L'insegnante statunitense fornisce, nel video, una breve guida alla valutazione attraverso un'intervista in quattro passaggi fondamentali:
A fare dell'interview assessment una strategia vincente, in conclusione, è però il clima rilassato e informale in cui avviene la valutazione, la quale non deve essere utilizzata con tutti gli studenti, ma solo con quelli che l'insegnante riconosce come ragazzi che "sanno più di quanto riescono a mostrare in un compito in classe".
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Il nuovo anno scolastico incombe e, per dargli il benvenuto, ho pensato ad un post insolito per il mio blog: una playlist di canzoni che parlano di scuola. Passati ormai i tempi in cui Bennato irrideva alla sua arte (sminuendola come mondo di sole canzonette), complice il recente nobel per la letteratura assegnato a Dylan, nessuno oggi si sogna più di non riconoscere al mondo delle canzoni un valore artistico. Tuttavia, quello che qui mi interessa è il valore storico di quelle che un tempo venivano anche chiamate canzoni leggere. Le canzoni sanno essere infatti uno specchio (fedele o deformato?) del contesto di produzione. Pertanto, in questo post, ho pensato di allinearne alcune che parlano di scuola (interesse unico di questo blog). Si tratta di canzoni cui sono, per vari motivi, affezionato. Lo dico perché si capisca che questa selezione non ha alcuna pretesa di esaustività né di catalogo delle meraviglie reperibili sul tema. 1. LUIGI TENCO, CARA MAESTRACara maestra, un giorno m'insegnavi 2. IVAN GRAZIANI, SIGNORINASignorina, per favore, L’apprendimento per progetti è una modalità di insegnamento sperimentata con successo già da alcuni decenni. Una chiara definizione del PBL - com’è noto, con un acronimo, il project-based learning nel mondo anglosassone - è possibile trovarla sul sito del Buck Institute for Education (attivo in California fin dal 1987). Il pbl appare qui come un approccio che consente agli studenti di acquisire progressivamente un bagaglio di conoscenze e competenze di natura interdisciplinare, grazie ad un lavoro che si sviluppa lungo un arco di tempo consistente. Ed è proprio il fattore tempo l’elemento che, a mio avviso, potrebbe rappresentare l’ostacolo maggiore all’introduzione dell’apprendimento per progetti nella secondaria superiore italiana, dove nei fatti sopravvive ancora un sistema rigido e organizzato in discipline concepite come camere a tenuta stagna, mentre lo spirito che anima questa tipologia di apprendimento ha un approccio assai vicino al motto popperiano “Non esistono le discipline, ma i problemi”. Alla luce di questo, è chiaro che il pbl, per essere attuato con profitto, necessita di una revisione del curriculum e dell’intera organizzazione scolastica. Attraverso la guida fornitaci dal Buck Institute sul proprio sito, possiamo di seguito elencare gli elementi che caratterizzano il project-based learning:
È almeno da un secolo che si parla di nuove tecnologie nella scuola, al punto che qualcuno si è sentito in dovere di parlare di “cent’anni di fallimenti”, al riguardo di approcci pedagogici focalizzati sull’esaltazione delle virtù della macchina piuttosto che sul modo in cui la tecnologia può facilitare la costruzione di situazioni di apprendimento all’interno della classe (cfr. l'analisi del problema fatta da Richard E. Mayer nel suo testo Multimedia Learning). Se, infatti, nel 1922 il famoso Thomas Edison proclamava che il cinematografo avrebbe sostituito in gran parte i libri di testo a scuola, nel 1945 William Levison, direttore di una delle prime "scuole via radio" d'America (la Ohio School of the Air), profetizzava che la radio sarebbe divenuta un oggetto comune in classe quasi quanto la lavagna. Inutile dire che le loro profezie si sono rivelate fallimentari. Per restare in Italia, Aldo Visalberghi, nel capitolo Le nuove tecnologie nella scuola del suo Insegnare ed apprendere – Un approccio evolutivo (La Nuova Italia 1988), metteva in guardia da un falso senso di onnipotenza che lo strumento tecnologico poteva innescare nello studente, e nel docente (aggiungiamo noi), entrambe affascinati “dal gioco sottile che lega le loro dita alle mutevoli immagini, magari colorate, dello schermo”. Queste preoccupazioni nascevano sicuramente da una tecnologia che lasciava intuire ancora solo in parte i suoi notevoli sviluppi futuri (quando Visalberghi scriveva quelle parole, ad es., era stato da poco commercializzato il pc Macintosh 128k, mentre del 1985 era il sistema Windows 1.0); nonostante ciò, il famoso pedagogista italiano aveva ben chiara già al tempo la linea che si sarebbe dovuta seguire nell’introdurre il computer nel curricolo; esso avrebbe dovuto sicuramente contribuire allo sviluppo di “libere attività ludico-esplorative” (come suggeriva del resto lo stesso Steve Jobs nel 1984 durante la campagna promozionale del suo MacIntosh, presentato agli stessi manager come uno “strumento per giocare”). Ora, rispetto a queste premesse, appare inutile sottolineare la rivoluzione rappresentata dal digitale nelle nostre vite, ma soprattutto nel campo dell’educational technology; si potrebbe dire anzi che il mondo digitale ha sviluppato a tal punto l’approccio ludico-esplorativo al sapere che una parte dell’intellighenzia scolastica (che gode di grande autorità sui nostri quotidiani e nei nostri salotti televisivi) vede precisamente in esso il cavallo di Troia con cui si tenta di abbattere un modello di scuola seria e difficile (cfr. la laudatio temporis acti di Paola Mastrocola sul Sole 24ore). Rispetto a queste sterili polemiche, le quali ripropongono una dicotomia di ascendenza quasi biblica (quale è la contrapposizione tra la fatica del lavoro e la superficialità del gioco), una scuola che volesse assolvere al suo compito primario, non potrebbe non tener conto che lo studente del XXI secolo, in questa sorta di ecosistema digitale, ci vive indipendentemente dalla scuola: dal pc al cellulare, dai più moderni elettrodomestici all’ultimo modello di smartwatch, infatti, non esiste contesto in cui la relazione tra l’uomo e l’ambiente non sia mediata da uno strumento digitale. Dunque, come potrebbe la scuola assolverebbe al suo compito, quale è quello di educare alla realtà, prescindendo da questo dato di fatto? Lo potrebbe fare sicuramente, correndo però il rischio di lasciare i nostri giovani in balia degli stimoli smodati di un mercato che non sempre ama cittadini informati dei pericoli e delle virtù del mondo digitale.
Ho realizzato con l'app Easel.ly un'infografica che mostra le conclusioni cui è giunto il rapporto OCSE Studenti, computer e apprendimento, pubblicato ad ottobre del 2015. Si tratta di un'analisi comparativa che, nell'autunno scorso, ha dato vita sui maggiori quotidiani italiani ad una serie di articoli che, almeno nei titoli, non rendono giustizia alle complesse conclusioni cui è giunto il rapporto (cfr. l'articolo Se il pc a scuola non aiuta i ragazzi de La Repubblica). L'indagine dell'OCSE, in sintesi, ha messo a confronto i risultati di studenti di diversi paesi del mondo nei test PISA, incrociandoli con una serie di dati inerenti l'uso delle TIC a scuola. A tal riguardo, le domande cui i soggetti campione dovevano rispondere riguardavano, ad esempio, se in classe veniva utilizzato il computer per lavori individuali e di gruppo oppure se il sito della scuola veniva usato per consultare, scaricare e caricare materiali di apprendimento. Sorprendentemente, i top performers nelle prove dei test PISA, Corea del Sud e Shangai, non risultano affatto ai primi posti per l'utilizzo del computer in classe, anzi. Tuttavia, Andreas Schleicher (Education and Skills Directorate - OCSE) nelle sue conclusioni lascia intendere che gli studenti di questi paesi, nel dare le loro risposte, possono aver dato un'interpretazione limitante della parola computer, quando gli veniva chiesto se e quanto lo utilizzavano per l'attività didattica (escludendo, quindi, di fatto dall'impiego di questa parola, strumenti quali tablet e cellulari). Al di là però di quest'ultimo aspetto, più interessante è la conclusione cui giunge Schleiser in merito all'integrazione tra didattica e TIC: la tecnologia può ampliare il raggio d'azione di un bravo insegnante, mentre non aiuta un insegnamento di basso livello (poor teaching, nel testo). Conclusioni cui può giungere, facilmente e in modo autonomo, qualsiasi insegnante con esperienza sul campo. |
BENVENUTI!Mi chiamo Eros Grossi. Dal 2004 sono un insegnante di Lettere presso i licei di Roma e provincia. Questo è il mio blog: nato per condividere fuori dall'aula il lavoro che svolgo tutti i giorni in classe. Archivi
Ottobre 2022
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