Quest'estate ho seguito un corso molto interessante dedicato alla tecnica cinematografica della stop motion video su Domestika: la piattaforma di apprendimento on-line, dove creativi di tutto il mondo propongono corsi dedicati alla creatività. Nel corso Stop motion: crea animazioni con lo smartphone, due esperti spagnoli di animazione mi hanno guidato passo passo in questa tecnica narrativa di animazione le cui origini coincidono con quelle del "vecchio" cinema (pensiamo agli esperimenti sul set di un Géorgés Melies) e proseguono ancora oggi nell'epoca dell'animazione digitale (un nome su tutti quello di Tim Burton). Entrare nel mondo della stop motion da profano e da insegnante, digiuno poi di una qualsiasi preparazione specifica in ripresa e montaggio video, significa dover apprendere in breve tempo e in modo anche rudimentale tecniche che richiederebbero ben altri tempi e competenze. Tuttavia, pur con tutti questi limiti, imparare a costruire una breve animazione in stop motion significa poter mettere dentro la propria "valigia degli attrezzi" una tecnica che certamente susciterà l'entusiasmo dei vostri studenti, qualora vogliate farne uso per attività di storytelling in classe. Uno dei benefici evidenti, infatti, del passo uno (come veniva chiamato una volta in italiano questo racconto per fermo immagine) è la possibilità di "sporcarsi le mani", unendo il mondo materiale (sotto forma di plastilina, bambole, pupazzi, fotografie ecc.) con il mondo digitale, con il primo però a farla da padrone, poiché sono proprio gli oggetti da manipolare e muovere a condizionare le forme che il vostro racconto potrà prendere. A meno che infatti non siate un Géorgés Melies che dal nulla crea i suoi oggetti e pupazzi, saranno le vecchie cose di uso quotidiano (che potete trovare a casa o in classe) ad ispirarvi nella costruzione del vostro racconto in passo uno. Libraries Taskforce, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons La prima cosa che potete imparare da un professionista dell'animazione è che almeno il 50% del successo delle vostre creazioni dipenderà dalla qualità dell'illuminazione del set. E già solo in questo c'è davvero tanto da imparare: da come creare un set illuminato a come posizionare lo smartphone con un cavalletto o con la plastilina oppure come fissare lo sfondo dell'animazione sul piano di lavoro ecc. Il passo successivo, e forse meno impegnativo del precedente, è conoscere le caratteristiche principali di un software adatto alla creazione di stop motion video e all'editing successivo del video e del suono. Nel mio caso, gli insegnanti di Domestika mi hanno consigliato di usare le apps freemium Stop Motion Studio e You Cut, che nella loro parte free hanno sufficienti caratteristiche per la creazione del nostro racconto.
Qui di seguito vi mostro il progetto finale che ho realizzato per il corso. Sono partito anzitutto dall'idea di utilizzare i playmobil di Ulisse e Circe che avevo regalato a mia figlia qualche anno fa. Perciò il primo passo è stato rileggermi il canto dell'Odissea relativo e ridurre in storyboard/sceneggiatura l'intera vicenda. Mentre creavo lo storyboard, mi è venuto in mente poi di creare un filmato nello stile del cinema muto: dunque, una didascalia iniziale per ogni scena, in grado così di fornire le informazioni essenziali dell'azione allo spettatore assieme all'uso di un sottofondo musicale in ragtime, il quale richiama alla memoria di chi guarda quel tipo di produzione cinematografica (le musiche prive di royalties le ho scaricate dal sito Pixabay). Con queste idee chiare in mente, sono passato alla creazione del set cinematografico, facendo attenzione alla creazione della giusta illuminazione con le lampade e a fissare con patafix, scotch di carta e plastilina il set e le mie bambole. Uno dei consigli basilari quando si passa alle riprese è poi quello di indossare colori scuri in modo da evitare un riflesso di luce. Inutile dire che la cosa più difficile è stata quella di girare dentro il lavandino del bagno la scena iniziale del viaggio per mare di Ulisse e della sua ciurma! Qui di seguito il filmato caricato sul mio canale Youtube. Al netto di qualche errore in sede di riprese (ad esempio, a volte la scenografia si muove involontariamente) mi ritengo soddisfatto di questa mia prima prova in stop motion video.
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Se siete degli insegnanti e avete partecipato negli ultimi tempi a qualche corso di aggiornamento sulle nuove metodologie didattiche supportate dal digitale, allora ci sono ampie probabilità che vi siate imbattuti in qualche versione nostrana di una delle seguenti immagini. Di cosa si tratta? È il cosiddetto cono o piramide dell'apprendimento, anche noto come cono di Dale, dal nome del pedagogista statunitense Edgar Dale (1900-1985), che ne fece menzione per la prima volta nel 1946 (all'interno di un suo volume dedicato all'uso degli audiovisivi nell'apprendimento). La piramide/cono rappresenta graficamente il livello di ritenzione dell'esperienza di apprendimento, associando percentuali differenti a diverse attività: per essere più chiari, se da un lato la memoria tratterrebbe soltanto il 10 % di quello che si legge e il 20 % di ciò che si ascolta, guardando un video si tratterrebbe circa il 50% delle informazioni veicolate dal medium, e così proseguendo fino all'optimum percentuale del coinvolgimento del soggetto in attività di apprendimento che simulino esperienze reali. Appare chiaro come un tale ordinamento gerarchico si presti facilmente, per chi ne voglia fare un uso superficiale, a sostenere argomentazioni in cui sarebbero i dati forniti dalle scienze cognitive a sostenere la bontà dell'uso di metodologie attive di apprendimento contro la noiosa e antiquata lezione frontale dei bei tempi andati. Ma le cose stanno proprio così? Quale credibilità ha questo presunto cono di Dale? A voler indagare la questione, la risposta sembrerebbe negativa. Difatti, se Edgar Dale potesse oggi tornare in vita e andarsi a sedere tra il pubblico di insegnanti a cui il suo cono putativo viene presentato in tutte le salse (e percentuali), con buone probabilità interromperebbe il formatore di turno per dirgli: carissimo/a, questo non è affatto il mio cono! Si, perché quello che oggi circola come cono di Dale è un vero e proprio falso d'autore, come cercherò di spiegare tra poco. Inquiry-based teaching, project-based teaching, flipped classroom ecc. Numerose sono le tecniche di insegnamento di cui un insegnante può oggi servirsi per costruire la sua "lezione"; un vasto campionario in grado di fornire al docente, che ne avesse tempo e voglia di sperimentazione, strumenti per la costruzione di situazioni sempre nuove di apprendimento. Tra queste tecniche o strategie didattiche quella che, negli ultimi due anni (almeno in Italia), ha suscitato sempre più interesse è sicuramente la cosiddetta classe capovolta (flipped classroom): una strategia d'insegnamento che, volendo semplificare, consiste nel "capovolgere" i tempi dell'apprendimento: a casa il giorno prima lo studente studia la lezione su materiali predisposti dall'insegnante (solitamente videolezioni, ma non solo); il giorno dopo in classe si fanno i compiti (di solito attraverso attività di natura laboratoriale). Questa diversa organizzazione dei tempi di apprendimento consentirebbe all'insegnante, da un lato, di avere in classe studenti già "preparati" sulla lezione, dall'altro permetterebbe allo studente di svolgere in classe (sotto la guida del docente e dei propri compagni) compiti che diversamente si troverebbe a svolgere da solo. Alla luce di ciò, la classe capovolta appare (almeno nelle intenzioni di chi ha iniziato a praticarla) come un "contenitore" in grado di racchiudere in sé tutta una serie di tecniche didattiche. Quali sono le origini di questo approccio apparentemente dalla portata rivoluzionaria? Nel suo libro Fare didattica con gli EAS (Editrice La Scuola, 2013), Pier Cesare Rivoltella ricostruisce brevemente la storia della flipped lesson, individuando in Eric Mazur, professore di fisica ad Harvard, uno dei suoi primi sperimentatori, fino ad arrivare in anni più recenti alla diffusione delle comunità di flipped teachers negli Stati Uniti e in Europa (inclusa l'Italia, con la costituzione dell'associazione Flipnet). Nel filo ideale che tiene assieme lo sviluppo di questo modello d'insegnamento, l'elemento preponderante che emerge e diventa oggetto d'interesse soprattutto dei mass media è l'associazione della classe capovolta con l'uso dei nuovi strumenti messi a disposizione dalla rivoluzione digitale: classi virtuali, edu-apps, ma soprattutto videolezioni (cfr. la recente inchiesta de La Repubblica). Questo binomio, tuttavia, nel mentre contribuisce a decretarne il successo nell'era dei "presunti" nativi digitali, dall'altro rischia però paradossalmente di ridimensionarne la portata innovativa: difatti, l'unica vera novità rispetto all'approccio costruttivista delle cosiddette pedagogie attive consisterebbe proprio nell'aggiunta delle nuove tecnologie (e di per sé non sarebbe cosa di poco conto, visto quanto lamenta l'ultimo Rapporto OCSE dell'ottobre 2015 in merito alla mancanza di una pedagogia che integri al meglio le TIC).
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BENVENUTI!Mi chiamo Eros Grossi. Dal 2004 sono un insegnante di Lettere presso i licei di Roma e provincia. Questo è il mio blog: nato per condividere fuori dall'aula il lavoro che svolgo tutti i giorni in classe. Archivi
Ottobre 2022
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