Qualche giorno fa ho letto un articolo di recensione di un volume, da poco edito in Italia, in cui vengono raccolti i disegni di Kafka. Il famoso scrittore praghese ha lasciato infatti nei suoi taccuini una serie numerosa di scarabocchi (come li definiva egli stesso, accomunando in questo giudizio impietoso anche i suoi romanzi e racconti), in cui egli dà forma a stati d’animo, osservazioni di scene di vita reale o illustrazioni a margine di appunti universitari. Di questa sua passione ho ritrovato traccia nella stravagante biografia che gli ha dedicato qualche anno fa Rainer Stach, in cui un capitolo iniziale è dedicato appunto all’autodefinitosi “gran disegnatore", il cui talento si guastò più tardi a seguito della nefasta influenza di una “pittrice mediocre”. Kafka non è il solo ad aver scarabocchiato. Il catalogo è lungo. Lo testimonia un interessante approfondimento che si trova online sugli scarabocchi degli scrittori. In un momento di noia o di pura divagazione, molti di essi incidevano a margine o a contorno di una lettera o di un block note immagini, frasi o vere e proprie illustrazioni del testo (vedere ad esempio la bellissima coppia abbracciata in un tango di Jorge Luis Borges). Ho pensato che non molto diversamente devono comportarsi quegli studenti che ogni tanto pesco in classe a riempire di ghirigori e disegni il loro quaderno degli appunti. Proprio recentemente mi sono soffermato a parlarne con uno di loro. Posta davanti all'obiezione che procedendo in tal modo rischiava di perdere tempo prezioso, la mia allieva mi ha giustamente fatto notare che disegnare gli appunti è il modo migliore che ha per trattenere nella memoria quanto appreso durante la lezione. Non diverse sembrano essere le conclusioni cui è giunta l'indagine per gruppi di controllo The Surprisingly Powerful Influence of Drawing on Memory, pubblicata nel 2018 da tre ricercatori specializzati nell’ambito delle neuroscienze dell’apprendimento. Dalla sintesi animata che ne ha fatto Edutopia sul suo canale Youtube qualche tempo fa (vedi supra), la pratica del prendere nota con disegni, grafici o altre immagini appare proficua in quanto in grado di integrare il linguaggio verbale e quello iconico, assieme a quello del tatto (non a caso, nell'introduzione alla loro indagine gli autori si richiamano alla dual-coding theory di Allan Paivio). La mia esperienza di insegnante della disciplina Geography IGCSE (una disciplina basata sul programma internazionale elaborato dall'Università di Cambridge) mi ha reso evidente i benefici che provengono dall'apprendere processi o concetti attraverso il disegno. Lo sperimento continuamente quando chiedo ai miei studenti di disegnare i processi che determinano alcuni fenomeni geografici (movimento di placche tettoniche o erosioni della costa marina, ad esempio) proprio al fine di comprendere i processi e memorizzare i termini specifici dei fenomeni. Si tratta di una richiesta, in fin dei conti, abbastanza comune in Inghilterra (come sa chiunque abbia viaggiato in quel Paese, dove è facile imbattersi nei musei naturali o negli orti botanici davanti a bambini e adolescenti chini sui loro sketchbook), ma che appare strana da noi soprattutto nella secondaria superiore, dove si considera il disegnare un'attività infantile o tutt'al più relegata ad ambiti di studio specialistici. (Di seguito alcuni "appunti" di miei studenti su fenomeni geografici studiati in classe).
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(a cura di) Simone C., Laura B., Alessia A. della classe 1A del Liceo Scientifico "Vito Volterra" di Ciampino In questo post pubblicato sul blog del prof. Eros Grossi, vogliamo parlare di un'attività che abbiamo svolto per Educazione Civica sui temi dell'Agenda 2030. L'attività, dal titolo Intervista alla Ocean Agency, consisteva nella creazione di un podcast rivolto ad ascoltatori immaginari sui problemi relativi alle barriere coralline e al loro sbiancamento. Secondo la consegna ricevuta dal professore, il podcast avrebbe dovuto avere una durata massima di 3 minuti, in cui un partecipante del gruppo interpretava un membro dell’Ocean Agency e un altro lo intervistava. L’Ocean Agency è infatti un’agenzia che si occupa dei coralli e degli effetti nocivi avuti su questo ecosistema a causa dell'inquinamento. Documenta questo fenomeno attraverso un set di telecamere subacquee a 360°; inoltre lavora con giornali di rilievo come TIMES e NEW YORK TIMES. Abbiamo lavorato al podcast circa 7.30 ore, non continuative. Siamo tre nel gruppo, quindi ognuno di noi ha potuto ricoprire uno dei ruoli fondamentali: Simone è stato l’editor, Laura l’intervistatrice e Alessia la ragazza intervistata, membro dell’Ocean Agency. Nel primo giorno di lavoro abbiamo fatto una ricerca individualmente e poi abbiamo unito le informazioni ottenute, creando così una scaletta. Quindi abbiamo fatto un copione (script) che poi ci sarebbe servito per creare successivamente il podcast. Nel secondo giorno invece abbiamo sistemato il copione e abbiamo iniziato le fasi di registrazione. Ci sono volute 2 ore e 15 prove per ottenere la base del podcast. Abbiamo deciso di rendere la ripetizione più realistica possibile, quindi, poiché l’Ocean Agency è inglese, abbiamo pensato che Alessia dovesse avere un accento britannico; invece Laura doveva coinvolgere il pubblico, parlando con enfasi e facendo domande retoriche, come una vera conduttrice radiofonica. Successivamente in un’altra ora sono state scelte le musiche di sottofondo che sarebbero servite a rendere più realistico il podcast. In conclusione S. ha montato tutto il podcast completo sull’applicazione indicata dall'insegnante e il risultato è quello messo a disposizione dal professore.
A causa del virus siamo stati costretti a lavorare a distanza a questo progetto scoprendo nuovi strumenti e nuove tecnologie; inoltre non potendo incontrarci dal vivo abbiamo scoperto un nuovo modo di lavorare, usando strumenti non abituali, come applicazioni per incontrarci virtualmente e per creare il podcast. L'editor in aggiunta ha avuto modo di conoscere nuovi strumenti di editing, come per esempio l’apposita applicazione per montare l’intervista. Lavorare a distanza è stato sia un vantaggio che uno svantaggio: vantaggio perché, utilizzando mezzi digitali si eliminano i tempi morti di andata e ritorno dal punto di incontro. Svantaggio perché non abbiamo avuto un confronto reale e non ci siamo conosciuti meglio anche perché siamo al primo anno e non abbiamo mai fatto dei lavori insieme, quindi è stato più complicato rispetto a farlo con persone con cui avevamo già lavorato. Ninetto Davoli – Iiiiih, che so’ quelle? In questi giorni di isolamento e contatti sociali a distanza, in cui l’intellettuale medio italiano appare angosciato dagli effetti dirompenti che tutta questa didattica digitale a distanza avrà sulla scuola italiana, può avere forse un ruolo liberatorio alzare lo sguardo dal pc, dal cellulare o dal tablet ed osservare il cielo dal balcone di casa o dall’unica finestra che porta luce nella propria stanza. Alzare lo sguardo, e casomai osservare in cielo quelle particelle di vapore acqueo condensato in grado dall’antichità di “nutrire i maestri di pensiero”, come diceva Socrate nella commedia Le Nuvole di Aristofane. A lungo considerate come emblema della temporalità della vita umana e del costante mutare delle cose, le nuvole possono essere anche oggetto di studio e analisi. Ho avuto modo di scoprirlo da quando ho iniziato ad insegnare il programma della disciplina Geography IGCSE, come sviluppato dall'Università di Cambridge International Examinations. La cosa più sorprendente di questa mia scoperta è stata scoprire che l'unico modo per studiare le nuvole è osservarle in cielo. A capirlo, infatti, per la prima volta fu l'inglese Luke Howard, vissuto tra il XVIII e il XIX secolo, padre della nefologia, la branca della meteorologia che si occupa appunto delle nuvole. Come ebbe a dichiarare, Howard iniziò a coltivare questa passione durante le noiose lezioni che al tempo gli venivano inflitte a scuola, le quali ebbero l'unico merito di invogliarlo ad osservare il cielo fuori dalla finestra della classe, attratto in particolar modo dalla strana e mutevole forma delle nuvole. Per farla breve, in poco tempo Howard intuì che, se da un lato era impossibile misurare le nuvole in cielo, dall'altro non appariva impossibile individuarne le forme basiche attraverso cui transitavano. E grazie alla sua passione per la lingua e cultura latina, egli ne classificò le forme secondo una terminologia ricavata dal latino che è ancora oggi in uso.
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BENVENUTI!Mi chiamo Eros Grossi. Dal 2004 sono un insegnante di Lettere presso i licei di Roma e provincia. Questo è il mio blog: nato per condividere fuori dall'aula il lavoro che svolgo tutti i giorni in classe. Archivi
Ottobre 2022
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