Quando si parla di fake news o post-verità riesce facile a molti individuare le cause che spiegano perché alcune persone vengono gabbate dalla disinformazione che circola per il web. Si tirano in ballo, in questi casi, i “pregiudizi di conferma” (bias of confirmation), l’analfabetismo funzionale, il pensiero magico e via di questo passo, spesso nella credenza che siano gli “incolti” a cedere alla disinformazione, mentre in realtà a cadere vittima di questi tranelli potrebbe essere ciascuno di noi (come confermato, in Italia, da un'indagine Demos del 2017). Ma cosa accade se, invece di inquadrare le manchevolezze dei consumatori di disinformazione online, si prova a guardare all’opposto a quelli che non si lasciano menare per il naso, cioè a chi sa valutare correttamente la fondatezza di un’informazione trovata online?
Proprio nell’intento di tracciare il profilo di questi “competenti del web”, nel 2017 l’università di Stanford ha condotto un’indagine basata sull'analisi di tre gruppi di controllo, così costituiti:
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In buona parte delle scuole in cui ho lavorato durante questi anni c'erano biblioteche ben fornite, ma deserte. Complice un servizio di prestito a singhiozzo (per mancanza di personale e/o per assenza di fondi), unito spesso a regolamenti interni pensati quasi per tenere lontani gli studenti, le biblioteche delle scuole in cui ho insegnato risultavano poco frequentate o tutt'al più utilizzate come parcheggio per studenti che non si avvalgono dell'ora di religione cattolica. Ma, al netto di impedimenti oggettivi, se anche le biblioteche scolastiche risultassero sempre aperte e ben funzionanti, ancora una volta forse risulterebbero deserte; e la responsabilità di questo andrebbe in parte imputata a noi docenti: spesso presi da una corsa ad ostacoli che risponde al nome di programma, - dove però a svolgere il ruolo di ostacoli risultano essere gli autori stessi e le loro opere, da passare in rassegna velocemente, in nome di un enciclopedismo che nel tentativo di abbracciare tutto lo scibile, si ritrova solo a stringere in una morsa se stesso, così che lo studente viene introdotto nel mondo della letteratura quale turista cui si vogliano mostrare i monumenti di un centro storico dai finestrini di un auto lanciata in corsa -, molti insegnanti non pensano alla biblioteca del proprio istituto come ad un ambiente da sfruttare per la promozione della lettura.
Tuttavia l’intento di questo post non è però quello di discutere di biblioteche e programmi, ma di raccontare un’esperienza che ho condotto durante quest’ultimo anno: parlo di libri e podcast o, mutatis mutandis, di ascolto e lettura (come già recitava il titolo di questo articolo); due delle competenze-chiave della disciplina scolastica Italiano, ma soprattutto due delle competenze trasversali della cosiddetta educazione linguistica. Ma veniamo al racconto dell’esperienza.
A partire dall’estate del 2015, da lettore affezionato dell'inserto Domenica de Il Sole 24 ore, ho iniziato a raccogliere i libri della collana editoriale Racconti d’autore: si tratta di opere di narrativa appartenenti ai generi più diversi, - da un classico del giallo come Uno studio in rosso di Arthur Conan Doyle al Verga delle Novelle rusticane, dal Cuore di cane di Michail Bulgakov ai racconti poetici della scrittrice statunitense Jamaica Kincaid - , ma comunque tutte unite da una stessa caratteristica: opere brevi e di dimensioni modeste, al punto da poter stare tutte comodamente dentro una scatola di scarpe (e l’esempio non è casuale, come scoprirete a breve). Con il passare dei mesi, diciamo che di questi libriccini ne ho messi da parte un bel po'. Così che un bel giorno, poiché da tempo mi dicevo che avrei dovuto dare più spazio alla lettura integrale di opere in classe, ho pensato: perché non portare i miei nuovi libri a scuola e metterli a disposizione degli studenti? Si poneva a questo punto il problema di come traslocare la mia piccola biblioteca. La soluzione è venuta semplice alla mia immaginazione: chiuderla dentro una scatola di scarpe, creando così una sorta di biblioteca itinerante con annesso registro, dove gli studenti avrebbero dovuto annotare il loro nome e cognome, il titolo del libro scelto, data del prestito e della riconsegna. E così di fatto è stato. In ultimo, con l'aiuto di un mio studente, la "fu scatola di scarpe" ha assunto un aspetto alquanto elegante (cfr. fig.1-2), così come l'organizzazione del mio Istituto per aule tematiche, ciascuna fornita di un armadio per la conservazione di materiali didattici, mi ha consentito di trovare a fine giornata un luogo dove custodire la mia piccola biblioteca.
Fig. 1 e 2 - La scatola della Biblioteca di classe
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BENVENUTI!Mi chiamo Eros Grossi. Dal 2004 sono un insegnante di Lettere presso i licei di Roma e provincia. Questo è il mio blog: nato per condividere fuori dall'aula il lavoro che svolgo tutti i giorni in classe. Archivi
Ottobre 2022
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