Niente educazione civica a scuola, C'è un libro di scuola che conservo intatto dai tempi del liceo, nonostante siano passati più di vent'anni: è il libro di educazione civica. Ancora oggi appare perfettamente integro: né una pagina spaginata né un'orecchia su una pagina. Forse ce lo fece acquistare la professoressa di storia del biennio, oppure il professore di storia e filosofia del triennio, per poi non utilizzarlo mai. Ne sono quasi certo, perché ricordo precisamente il giorno in cui all'università, in tempi in cui compulsare Wikipedia non era possibile, al fine di rileggermi alcuni articoli della Costituzione citati nel manuale di storia contemporanea che stavo studiando, lo liberai finalmente dall'involucro di cellophane che lo teneva prigioniero. Sia chiaro, di tale prigionia non ne faccio una colpa ai miei insegnanti di allora, peraltro professionisti molto scrupolosi e preparati. Sicuramente, - posso dirlo solo oggi che a rivestire quel ruolo ingrato ci sono io -, presi da quella malattia che contagia ancora il corpo docente italiano, ovvero l'idea di dover insegnare "tutta la storia" possibile, ingozzandosi e ingozzando gli alunni con palate di date e nozioni, avranno pensato di dover sacrificare qualcosa: e questa scelta ingrata sarà ricaduta sulla povera educazione civica. Questi ricordi probabilmente riaffioreranno quasi simili nella memoria di molti miei coetanei, in questi giorni in cui a scuola si attende il pronunciamento del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, in merito all'avvio nel corrente anno scolastico della sperimentazione della nuova Educazione Civica. Si tratta di un'attesa che molti insegnanti vivono con ansia e terrore, perché, com'è d'uso sin dall'alba della nostra repubblica, anche le migliori intenzioni possono partorire mostri, una volta uscite dalle inclite stanze di viale Trastevere e pompate lungo le arterie ostruite delle scuole italiane. A leggere la bozza delle linee guida che circolano online, le premesse sembrerebbero buone, per una serie di motivi così elencabili:
Un ottimo indirizzo ed un elenco di buone intenzioni che rischiano però, almeno nelle scuole del secondo ciclo, di naufragare di fronte a mentalità e prassi consolidate. In primo luogo, da quello che si agita nei forum di discussione online e nelle sale professori, già si profila quella che il buon Guido Calogero chiamava la materializzazione del sapere: ovvero, l'identificazione dell'educazione civica con un singolo docente ed una specifica materia (in particolar modo, nella secondaria superiore, il docente di materie umanistiche). Benché sia vero che la legge (come già detto prima) ne affidi l'insegnamento ai docenti di diritto, è anche vero che la stessa legge, richiamando i principi dell'autonomia scolastica, riconosce a questi docenti anche la possibilità di un ruolo di coordinamento ed organizzazione della stessa educazione alla cittadinanza (in altri termini, nulla vieta che essi, oltre ad insegnare specifici moduli, si inseriscano come compresenza in attività elaborate assieme ad altri docenti). Pertanto, se si identificasse l'educazione civica con il docente di diritto, a farne le spese sarebbero le buone intenzioni "trasversali" del legislatore. Il limite maggiore dell'iniziativa va ricercato però in qualcosa di più profondo e che pervade la società italiana a più livelli: il divario notevole tra norma ed applicazione. Immaginate, infatti, uno studente del biennio superiore che si veda sciorinati davanti a sé tutti questi bellissimi regolamenti d'Istituto, unitamente a Patti di corresponsabilità e via discorrendo. Dopo aver appreso le numerose norme che regolano l'organizzazione della vita scolastica del proprio Istituto, quello stesso studente potrà presto apprendere che quelle stesse norme sono talmente puntigliose e ben scritte da non poter essere applicate, perché la loro applicazione richiederebbe sforzi organizzativi che la scuola non può e sa darsi. Ad esempio, il nostro studente scoprirà che se sulla carta non può fare più di cinque ritardi al quadrimestre, nella realtà potrà farli senza riceverne particolare danno; tutto questo perché; a. se incorre nella violazione della norma, a casa non potrà tornare in quanto minore; b. da solo in una stanza a scuola non potrà restare, perché mancherebbe il personale per "vigilarne" la sua presenza (la tanto temuta, da tutti i dirigenti e docenti italiani, culpa in vigilando!); c. potrà perciò entrare in classe come gli altri, senza particolari ricadute su quella che un tempo si chiamava la sua condotta.
Il messaggio educativo che ne viene fuori sarà dirompente. Esso infatti dirà: esistono nella realtà norme che possono non essere rispettate, perché sono o inapplicabili o poco chiare. E di fronte a questo messaggio, ogni educazione civica si dimostrerà francamente inutile.
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BENVENUTI!Mi chiamo Eros Grossi. Dal 2004 sono un insegnante di Lettere presso i licei di Roma e provincia. Questo è il mio blog: nato per condividere fuori dall'aula il lavoro che svolgo tutti i giorni in classe. Archivi
Ottobre 2022
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